Visitare un prosciuttificio è un po’ come voler rispettare una tradizione millenaria profondamente legata al territorio, perchè solo la conoscenza introduce al rispetto per il cibo che non è solo fonte di nutrimento ma è anche condivisione.

Una condivisione fatta anche di investimenti, pazienza, consapevolezza e sacrifici.

In passato molte famiglie rurali avevano in casa uno o due “gosèn” o “nimèl”, l’animale per eccellenza, che come ospite d’onore poteva avere un suo nome ed un posto d’onore alla tavola degli uomini. Quasi membro di una famiglia allargata, che includeva nel nucleo anche gli animali domestici, il maiale in area emiliana è sempre stato prezioso per le sue carni, tanto da affermare ancora oggi che “del maiale non si butta via niente”. Novembre era invece il mese per eccellenza in cui veniva ucciso il porco e il giorno dell’uccisione era considerato quasi sacro, un momento speciale in grado di legare ancor più i membri della famiglia tra di loro. Sono ormai da quasi duemila anni che il sale, considerato “l’anima del prosciutto”, viene cosparso a mano generalmente in due fasi di salatura. All’interno dei prosciuttifici è ancora possibile vedere di come la tecnologia non abbia cambiato la tradizione, ma l’abbia presa per mano per accompagnarla nel mondo della grande distribuzione.

Nel prosciuttificio si può scoprire di come la coscia di maiale possa essere ulteriormente selezionata per ottenere eccellenti prodotti quali il fiocco o la culatta, ma anche capire l’importanza della sugna e dell’aria delle vallate parmensi, che come leggere brezze marine provenienti dal versante tirrenico degli appennini asciugano alla perfezione le cosce di carne suina donando loro un’ inconfondibile e delicato aroma.

Il vero garante della qualità di questo prodotto DOP è, comunque, il consorzio di tutela che può vantare preparatissimi ispettori per il controllo qualità.

Osserveremo di come utilizzando un semplice osso acuminato, un ottimo olfatto possa essere in grado di distinguere la stagionatura perfetta, per poi marchiare quasi “ritualmente” a fuoco il prosciutto perfetto.


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