luce e sensazioni visive del battistero e del duomo

Se dovessimo indicare i colori tipici del battistero e di piazza Duomo a Parma,  sicuramente le tonalità di colore rosso e rosato sarebbero predominanti.

La luce del giorno esalta le sensazioni calde e avvolgenti della rossa mole laterizia del Vescovado e del campanile duecentesco della cattedrale, 

mentre si riflette scintillante sulle superfici rosate del protiro del duomo e del battistero, esaltandone la dolcezza delle forme geometriche.

scorcio di Piazza Duomo

Una tipica pietra di terre lontane

Il color Rosa di questi manufatti è dovuto alle scelte costruttive delle antiche maestranze impiegate per la loro realizzazione, che per il battistero impiegarono il “marmo di Verona” a partire dal 1196 tra mille difficoltà.

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Oltre cent’anni servirono per portare a compimento questo luogo della fede, facendo arrivare il materiale a Parma attraverso il dedalo di corsi d’acqua navigabili.

Il paramento murario del battistero è quasi esclusivamente costituito da materiale “alieno” rispetto al contesto storico e ambientale della città e del suo territorio limitrofo.

Il cosiddetto “marmo Veronese”,  in realtà meglio definibile genericamente come calcare nodulare, quindi roccia sedimentaria oggi conosciuta come “Rosso ammonitico” negli scritti di geologia,

venne utilizzato con parsimonia già dai romani per l’erezione di alcuni monumenti parmigiani di cui si è persa quasi ogni traccia materiale.

L’ingegno dell’uomo medievale ha però lasciato le maggiori evidenze monumentali realizzate con questo materiale, grazie ad una grande profusione d’ impegno e sacrificio.

Questa pietra, raccolta in lontane cave situate nei pressi di Verona,  in affioramento si dispone in stratificazioni lapidee di differente spessore e colore.

Si passa quindi da strati di roccia di un tenue color rosa, se non addirittura bianco, a strati di un bel color rosso acceso.

Queste differenze dipendono dalla distribuzione di mineralizzazioni derivate dall’ossidazione del ferro, ma di tanto in tanto è possibile rinvenire ancora bei cristalli intatti di fascinosi minerali quali, ad esempio, la Pirite.

uno dei leoni stilofori del protiro

La pietra consumata

Una sorta di “ruggine” naturale è quindi l’artefice di molte sensazioni visive, al pari di accidenti naturali o prodotti dall’uomo che nei secoli hanno rimodellato quelle pietre un tempo perfettamente sagomate dagli antichi scalpellini.

L ‘utilizzo continuo delle gradinate del battistero ha, per esempio, “lucidato” queste superfici conferendo loro un ulteriore e diversificato effetto visivo.

Allo stesso modo si possono presentare consunte antiche sculture o enigmatiche incisioni del battistero, come la leggendaria “pedata” che il diavolo,

geloso per la bellezza dell’edificio appena compiuto, avrebbe inferto alle sue mura nel perfido tentativo di distruggerlo.

In questa è ben visibile la superficie lucida dell’ incisione a forma di piede, causata molto probabilmente dal continuo tocco di questa misteriosa evidenza.

La fantasia popolare ha voluto vedere in queste patine le bruciature causate dal diabolico e fiammeggiante piede.

la “pedata” del diavolo

Pietra mistica

Nel battistero la sapienza artigiana ha permesso la realizzazione di blocchi lapidei squadrati e di colore diverso. 

Accostati perfettamente tra loro, i conci squadrati fanno sembrare il monumento scolpito in un unico grande pezzo di marmo segnato da molteplici sfumature.

Il battistero ci appare così come un blocco di pietra mistica fissato al suolo; una sorta di “menhir” dell’era Cristiana.

Questi antichissimi fanghi consolidatisi in pietra, però, ebbero una tormentata storia naturale.

Generatisi al di sopra di un antico rilievo collocato in fondo al mare, questi depositi si sedimentarono in un lunghissimo arco di tempo.

Il battistero di Parma

Storie della natura

Nel trascorrere di secoli e millenni i sedimenti conobbero parziali  dissoluzioni e sconvolgimenti ad opera di correnti marine,

che dovettero peraltro favorire la formazione dei numerosissimi noduli tutt’ora visibili, pur pietrificati e schiacciati tra loro, sulla superficie di queste rocce.

Assieme a fanghi, argille e minerali, sul fondo di questi mari si accumularono i resti mortali delle forme di vita a quel tempo molto diffuse.

Le ammoniti, bellissime conchiglie a spirale, si trovano anch’esse ammassate insieme ai noduli e, come questi, si presentano intatte, deformate o parzialmente dissolte. 

Nella loro veneranda età, compresa tra 170 e 140 milioni di anni (!), queste “vecchie signore” ammaliano ancora oggi viaggiatori, scolaresche e studiosi di fossili.

La morte ti fa bella, film del 1992 di Robert Zemeckis con Meryl Streep e Goldie Hawn gravita il proprio tema attorno il grottesco fascino della morte e dell’immortalità del corpo, ma potrebbe anche essere il titolo di un’ incantata osservazione per questi fossili.

Il pavimento del Duomo, più recente di qualche secolo rispetto al battistero ma pur sempre realizzato in Rosso ammonitico, offre allo spettatore la vasta superficie di un fondo marino lucidato.

Camminarci sopra è quasi come vedere una grande vetrina di un museo a cielo aperto, con tante e svariate ammoniti in certi casi classificabili per genere.

la pavimentazione della cattedrale

Si possono vedere le camere di abitazione per il mollusco ancora in vita, le loro dimensioni e, in certi casi, le loro merlettate linee di accrescimento.

Le ammoniti, però, non sono gli unici fossili visibili in questa roccia. Anche in piazza duomo è possibile vedere qualche raro e candido rostro (osso) di Belemnite, antenata delle attuali seppie, mineralizzato a calcite.

Molto raramente, in queste rocce sono stati addirittura trovati i resti di qualche rettile mesozoico, come dimostra il bell’esemplare in mostra presso il museo geologico di Bologna.

rostro di belemnite

Rosso ammonitico e Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci fu affascinato dall’osservazione di questi fossili nel rosso ammonitico, e scrisse su loro qualche riflessione nel celebre codice di Leicester.

Non solo s’interroga sulla presenza di questi “nichi” nella pietra, ma anche prova a spiegarsi le modalità di fossilizzazione degli stessi, giungendo sino a fantastiche conclusioni:

” Truovasi nelle montagnie di Verona la sua pietra rossa mista tutta di nichi convertiti in essa pietra,

delli quali per la loro bocca era gommata la materia d’essa pietra, ed era in alcuna parte restati separati dall’altra massa del sasso, che li circundava, perchè la scorza del nichio s’era interposta e non li aveva lasciati congiugniere.

E in alcun ‘altra parte tal gomma avea petrificato le invegiate e
guaste scorze.”

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