Rubbiano antica è un minuscolo gruppo di case che passa quasi inosservato. Il nucleo storico è nascosto da fabbriche e villette, ma il grazioso borghetto può vantare belle corti e vetuste case a torre.
Costruito su di un terrazzo naturale, nato grazie ai continui apporti di ciottoli fluviali da parte di ben due grossi corsi d’acqua, Ceno e Taro, Rubbiano sorge proprio laddove i due “fiumi” fratelli s’ incontrano.
Essi infatti sarebbero entrambi nati dalle falde del Monte Penna, rilievo ormai prossimo al confine ligure.
i fiumi fratelli
I due giovani fiumi, spinti dall’impeto giovanile, si accordarono un giorno per fare una gara di corsa. Avrebbe vinto chi, l’indomani, sarebbe arrivato per primo a Fornovo.
Come premio dal lì in poi il corso d’acqua che si sarebbe formato avrebbe preso solo il nome di uno dei due sino al Po. Durante la notte, però, il Taro ingannò il povero fratello iniziando a correre già da prima dell’alba.
Al mattino il Ceno si risvegliò, ma subito si accorse dell’imbroglio. Nonostante ciò, iniziò a correre con tutte le sue forze ma ormai non poté fare altro che constatare la propria sconfitta, e tuffarsi così nelle fredde acque di suo fratello.
Il paese sorge proprio presso questo leggendario incontro, sopra un piccolo lembo di terra, ormai penisola abbandonata dalle millenarie alluvioni dei due contendenti. Ma è proprio presso questa confluenza che gli antichi forse videro qualche cosa di magico e sacro.
Secondo alcuni studiosi, Mariotti in primis, Rubbiano sarebbe stato l’antesignano della vicina Fornovo val di Taro. Senza di lui, il più importante centro abitato della media Val Taro forse non sarebbe mai esistito.
antichi e misteriosi déi
“Forum Novum”, foro nuovo, nuovo centro e piazza di mercato: così i romani battezzarono il loro municipium che sarà poi conosciuto come Fornovo.
Ma se questo “foro” era nuovo, dov’era quello vecchio? Sorgeva nello stesso luogo oppure era erede di un più antico abitato collocato altrove?
Fu quindi Giovanni Mariotti, ex sindaco di Parma nonché direttore dell’allora Regio Museo di Antichità (oggi Museo Archeologico Nazionale di Parma)
a proporre per Rubbiano un’affascinante e romantica ipotesi sulla base dello stesso nome del paese.
Nel nome, infatti, si ricorderebbero due antichissimi déi liguri, Robeone e Rubacasco, la cui benevolenza venne celebrata da un duumviro romano in pieno territorio al tempo ligure.
Egli infatti dedicò per loro un’ara in un possibile santuario, che venne poi ritrovata nel 1866 proprio presso la confluenza di due corsi d’acqua vicino Demonte, località ora piemontese.
Questo manufatto è attualmente esposto al Museo Civico di Cuneo.
Così come questi déi dimorarono alla confluenza dello Stura con l’Alma, così gli stessi sarebbero stati presenti anche a Rubbiano.
Questa località sarebbe stata quindi già prima dei Romani un conciliabolo ligure, luogo dedito alla preghiera e ai commerci.
Qui si sarebbero potute radunare molte genti provenienti dalla Val Taro e dalla Val Ceno, proprio laddove i due corsi d’acqua sono più facili da guadare.
Il Mariotti incalza ancora nell’affermare che nei documenti storici più antichi il nome di Rubbiano compare come Robiano,
ricordando ulteriormente l’ancestrale presenza di queste divinità.
Dalla toponomastica all’archeologia
La terra, gelosa, non ha tuttavia restituito per Rubbiano oggetti che possano confermare questa suggestiva ipotesi, anche se gli uomini abitarono il territorio circostante sin dalla preistoria.
Probabilmente il nome del paese più che déi vuole ricordare antichi possedimenti romani, mentre un polo religioso emerse nell’ 800 proprio in prossimità della pieve di Fornovo.
Gli scavatori trovarono delle sortes, strumenti divinatori, proprio presso quello che doveva essere un tempio dedicato a Minerva o a Mercurio.
Forse era proprio qui il più antico insediamento, poi ri-abitato dai Romani e arricchito con la parola “novum”.
La tradizione popolare non volle tuttavia dimenticare la strenue lotta del popolo ligure contro l’invasore romano.
Non lontano da Rubbiano e da Fornovo, infatti, i cosiddetti “Burroni Rossi” secondo una leggenda erano fosse comuni in cui vennero gettati i caduti di un’antica battaglia combattuta tra questi popoli.
Il colore rosso di questi calanchi sarebbe dovuto al sangue delle vittime.
Leggende a parte, il cui eco risuona nelle nostre orecchie nel passeggiare tra i pochi vicoli del borgo,
la storia ricorda la presenza di un castello nel lontano 1028 quando Ildegarda, nobildonna di longobarda origine, lo vendette al rettore della chiesa di Paderna, località piacentina.
Nel circuito castellano era presente anche la chiesa di San Salvatore, poi forse ricostruita dove ora sorge l’attuale.
Passeggiando nel borgo
Percorrendo “via del Centro” si incontrano proprio vicino alla chiesa due belle Case a Torre, la più grande delle quali appartenne alla nobile famiglia dei Cantelli (vedi foto sopra).
E’ proprio questa costruzione che mostra i caratteri tecnici e costruttivi più antichi del borgo.
Abili scalpellini selezionarono ciottoli di fiume secondo forme e dimensioni, per costruire una muratura caratteristica in corsi murari paralleli tra loro.
Essi sbozzarono inoltre molti di questi ciottoli per ottenere i conci squadrati tipici dell’architettura delle grandi chiese medievali.
Questa alta e robusta casa a torre è uno dei più antichi edifici civili conservati delle medie valli del Taro e del Ceno, anche se ad oggi è difficile attribuirle una sicura datazione, comunque basso-medievale.
Sono ancora visibili le buche pontaie utilizzate per la sua costruzione, ma anche i buchi della piccionaia vicino al tetto. Di fronte a questi, una pietra sporgente fungeva da posatoio per i volatili.
Nell’angolo destro della torre, una porzione di muro nascosto dalla vegetazione evidenzia un sapiente utilizzo dei ciottoli fluviali meno spessi, disposti nella parete quasi a ricreare la lisca di un pesce.
Questo frammento di muro sembra essere ciò che rimane di un edificio ancora più antico, poi inglobato nella nuova costruzione.
Il 30 Dicembre del 1551 truppe francesi irruppero nel paese, rubando viveri, carri e bestiame. Chissà se a quel tempo gli antichi residenti della torre opposero loro una fiera resistenza!
Nel borgo altre corti e torri
Proseguendo nel vicolo accanto questa suggestiva casa si può subito vedere sulla sinistra un’altra bella e snella casa torre probabilmente tardo -medievale
che evidenzia ancora una volta un posatoio per volatili, ora in cotto, ingentilito da una cornice laterizia con mattoni disposti a dente di sega nel muro.
Non lontano da questo complesso turrito, ormai in prossimità del greto del Taro, si incontra la bella corte “villa Ruffini”, con monumentale ingresso aperto verso il fiume e un’altra casa a torre.
Nelle adiacenze di questa corte una altro rustico, oltre a mostrare ancora una volta l’ennesima torre con bella colombaia, conserva una tettoia in sasso e un tipico balchio appenninico, rampa di scale coperta per offrire un riparo alle intemperie per chi entrava nella propria dimora.